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Diga di Blufi: bluf(f) o progetto da portare a termine?

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diga blufi (dalla Pagina Facebook Dig Blufi Skatepark)
La diga di Blufi (Foto gentilmente concessa da Giuseppe Rogato)

Blufi. Sulla Diga di Blufi si è scritto e discusso tanto, a partire dal 1964, anno di edizione del progetto. Sessant’anni fa vennero espropriate le proprietà agricole di una cinquantina di famiglie per fare spazio a questa grande opera, utile a creare un bacino idrico necessario soprattutto per le province di Enna, Caltanissetta e Agrigento. I lavori divennero esecutivi negli anni ’90, ma vennero interrotti nel ’96, poi ripresi nel 2001 e nuovamente interrotti un anno dopo. Il tutto è già costato alle casse statali più di 250 milioni di euro e nel futuro ne serviranno almeno altri 170 per completarla.

Ma come mai si è arrivati a questa situazione dopo così tanto tempo? Eppure, si parla di un’opera che dovrebbe essere attualissima, vista la grave crisi idrica che la Sicilia sta vivendo negli ultimi anni, culminata nella dichiarazione dello stato di emergenza regionale del 13 marzo scorso. In questi giorni il presidente Renato Schifani ha annunciato la richiesta dello stato di emergenza nazionale per risolvere la questione (leggi).

La Diga e i danni ai paese delle Madonie

Dopo attente analisi e ricerche sul tema, è chiaro un aspetto che va in questa sede sottolineato: la costruzione della diga ha creato seri danni idrici ai comuni delle Madonie nord est (San Mauro, Pollina e Castelbuono) negli anni ’90. La galleria, utile alla diga, deviò parzialmente il torrente Pomieri, in località Canne, per farlo confluire nell’Imera meridionale, in modo da aumentare il flusso del bacino idrico della futura diga. In questo modo le Madonie stesse iniziarono a vedere non di buon occhio quest’opera, forse pensata male sin dal principio.

Ad oggi, ad aprile 2024 la Regione continua a finanziare studi per la progettazione, ma ha davvero senso quest’opera?

Per Legambiente è ormai desueta e nociva, sarebbe utile migliorare gli invasi già presenti e bonificare l’area.

Anche l’Unione dei Comuni delle Madonie nel novembre 2023 ha presentato un progetto strategico sulla gestione del servizio idrico, che comprende 8 unità funzionali e 37 gare d’appalto, dopo 3 anni di procedure. I progetti, che coinvolgono 14 comuni, Blufi compreso, serviranno per la mappatura, la distrettualizzazione, la manutenzione e il ripristino delle reti di approvvigionamento.

Insomma, della Diga nelle Madonie si parla, ma si continuano a perseguire altri progetti per raggiungere uno degli obiettivi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ossia quello relativo all’acqua pulita e ai servizi igienico sanitari.

 

Blufi

 

Un mostro ecologico

Il comune di Blufi, più volte intervistato sul tema nei diversi anni, invita la Regione a prendere una posizione definitiva sulla faccenda, perché la Diga è ormai un mostro ecologico di cui si parla spesso senza cercare un modo per riqualificarlo e il continuo riprendere gli studi sul progetto per poi abbandonarli poco dopo è diventato snervante e sintomo di una politica irresponsabile.

Negli ultimi anni un servizio di Report aveva portato alla ribalta la riqualificazione della zona della diga come Skate Park; il progetto di Giuseppe Rogato non ha avuto successo finora, ma è stata una delle eventuali proposte che Giorgio Ricotta, giovane molto attivo sul territorio, membro della consulta giovanile madonita, così riprende: “Bisogna ammettere l’errore politico di ormai 60 anni fa e andare oltre l’idea della diga, non più attuale. La riqualificazione deve essere innovativa, anche perché riconvertire in terreni agricoli quelle zone ormai è anacronistico: molta gente del posto dopo 60 anni senza quelle terre ha cambiato mestiere e bisogna puntare maggiormente a un riutilizzo funzionale di quell’area. Per l’approvvigionamento idrico bisogna trovare altre strade, più attuali e meno invasive, anche perché con la siccità che c’è la diga stessa sarebbe semi vuota, viste le piogge sempre meno frequenti”.

Pietro Macaluso, giovane residente a Blufi e membro della consulta giovanile e dei Giovani Democratici Siciliani, pone l’attenzione sulla riqualificazione dell’opera: “Gli anziani del posto raccontano che la diga nacque con la promessa elettorale di molti posti di lavoro, e in un certo senso a me sembra che sia ancora così, perché se ne parla molto ma i passi avanti sono pochi. Pensare a un utilizzo adeguato di quell’area non è semplice, ma sicuramente va rivalutato anche tutto quello che c’è intorno alla diga, ovvero un bellissimo paesaggio naturale e culturale. La diga ormai credo sia inutile da un punto di vista idrico, vista la siccità estrema della zona, che spesso frequento nelle mie passeggiate. La zona della diga è ad esempio frequentata dagli aironi, specie bellissima e ormai molto rara. Potrebbe crearsi ad esempio una riserva naturale, o rendere la struttura ormai fatiscente la base per un museo di Blufi, o ancora, utilizzare la zona per un osservatorio astronomico. Insomma, le idee possono esserci, sicuramente c’è voglia di andare oltre l’ecomostro che esiste attualmente”.

Proprio per comprendere se la diga possa essere utile per migliorare la situazione idrica del territorio, abbiamo chiesto un parere alla Cooperativa Petraviva, che opera nel territorio di Blufi. La crisi idrica è grave: “I torrenti sono asciutti, per fortuna molti agricoltori non stanno fertilizzando per mancanza di pioggia, e il grano riesce a crescere anche con pochissima acqua, ma il vero problema è un altro: spesso si parla di tropicalizzazione del clima, ma noi stiamo assistendo sempre più ad una vera e propria desertificazione. Speriamo nelle piogge primaverili, altrimenti sarà dura”.

Dal punto di vista della Cooperativa, la costruzione della diga è ormai avviata e andrebbe messa in funzione, ma “l’opera non è probabilmente attuale dal punto di vista idrico e andrebbero fatti ulteriori studi”.

La dispersione delle acque

In questo contesto intricato capirci qualcosa non è facile: sicuramente l’approvvigionamento idrico in Sicilia non dipende dalla diga di Blufi, anche perché disperdiamo il 52% delle acque immesse nelle reti idriche. È centrale invece la lunga e infinita liquidazione dell’EAS (Ente acquedotti siciliani) che dal 2004 ha portato a una gestione a dir poco maldestra della manutenzione e della distribuzione. Ancora oggi molti comuni non hanno un gestore idrico e i cittadini non pagano l’acqua, e anche Cefalù ne sa qualcosa, visto che le prime bollette AMAP dopo anni sono stati per tutti un colpo al cuore, anche per via degli errori madornali che scaturiscono da tutto questo processo.

Inoltre, nel 2021 la Regione Siciliana ha incassato una sonora bocciatura con l’esclusione dai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) di 32 progetti su 32 presentati per il miglioramento della gestione delle risorse idriche nell’Isola.

Insomma, lo Stato e la Regione a livello centralizzato si stanno dimostrando carenti nella gestione dei bacini idrici, mentre i comuni madoniti cercano di darsi una mano per risolvere la questione attraverso lo strumento dell’Unione.

La paura è che dove manca lo Stato possano inserirsi altre forze, ben note, utili a risolvere il problema degli acquedotti abbandonati a loro stessi.

Di certo è obbligatorio, adesso più che mai, proteggere l’acqua dagli interessi del potere, finanziando le opere davvero utili e puntando al sodo, perché non c’è tempo da perdere: dobbiamo resuscitare, con o senza diga, da questa arida storia.

 

Diga di Blufi: va teminata?

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