L’intellettuale di polizzi

Borgese, “irregolare della cultura”. E ancora troppo ignorato

Venne proposto per il Nobel per gli studi su una Costituzione mondiale. Sposò in seconde nozze Elisabeth, figlia di Thomas Mann. A lui si deve il termine "crepuscolare"

Giuseppe Antonio Borgese ed Elisabeth Mann (foto Fondazione Borgese)
Giuseppe Antonio Borgese ed Elisabeth Mann (foto Fondazione Borgese)

Polizzi Generosa. Tra le personalità di rilievo originarie delle Madonie, un posto di assoluto primo piano spetta a Giuseppe Antonio Borgese (Polizzi Generosa 1882 – Fiesole 1952), critico letterario, giornalista, germanista, narratore, poeta, drammaturgo, storico dell’Italia e del fascismo, sicuramente l’intellettuale più notevole a cui questa parte della Sicilia ha dato i natali.

Soffermarsi in dettaglio sulla sua ricca e movimentata biografia è impossibile in un contesto giornalistico. Possiamo dire che, dopo gli studi classici al Liceo Vittorio Emanuele II di Palermo, frequenta la facoltà di Lettere prima dell’Università di Palermo e poi di Firenze, dove si laurea nel 1903 con una tesi – molto apprezzata e fatta pubblicare da Croce, che successivamente però gli sarà ostile – sulla critica romantica in Italia.

Come critico letterario, oltre ad importanti saggi sulla letteratura italiana ed europea tra l’Ottocento e il Novecento e alla scoperta e valorizzazione di autori del calibro di Tozzi, Moravia, Soldati e Piovene, a lui dobbiamo l’introduzione, nel 1910, dei termini “Crepuscolari” e “Crepuscolarismo”, per indicare la corrente letteraria sviluppatesi nel primo Novecento che annovera Guido Gozzano, Marino Moretti, Sergio Corazzini e Antonia Pozzi tra i suoi esponenti più importanti.

Come germanista ottiene nel 1909, ancora ventisettenne, la cattedra di Letteratura Tedesca all’Università di Torino (che lascerà l’anno dopo per quella di Roma e poi, nel 1917, per l’Università di Milano) e pubblica, oltre a diverse traduzioni, saggi su Goethe e sul teatro tedesco.

Come narratore, pubblica nel 1921 Rubè, il primo grande romanzo italiano scritto dopo la Grande guerra e la sua opera più nota, considerato un classico della letteratura del secolo scorso. A Rubè faranno seguito nel 1923 I vivi e i morti, altro romanzo di grande qualità, e varie novelle, tra cui spicca Tempesta nel nulla, un testo difficile da classificare, venato di lirismo, largamente evocativo e autobiografico, che prende spunto da una serie di escursioni sulle montagne dell’Engadina fatte con la figlia Nanni.

Come poeta e drammaturgo, pubblica due raccolte di poesie e due drammi, L’Arciduca (1924), sulla tragica vicenda di Rodolfo d’Asburgo e Maria Vetsera, e Lazzaro, che esce nel 1926 e che secondo alcuni interpreti avrebbe influenzato l’omonima opera composta da Pirandello due anni dopo.

Anche nell’attività giornalistica Borgese è molto precoce, pubblicando nel 1905 sul quotidiano L’Ora un articolo dal titolo “Il circuito siciliano” sulla prossima prima edizione, svoltasi nella primavera del 1906, di quella che sarebbe diventata una delle corse automobilistiche più famose del mondo: la Targa Florio.

L’anno successivo diventa caporedattore per Il Mattino di Napoli e, poco dopo, corrispondente dalla Germania per La Stampa di Torino. All’alba del 29 Dicembre 1908, la nave su cui si trova in viaggio per la Sicilia approda a Messina e Borgese scrive per Il Mattino il primo articolo sul tragico terremoto del giorno precedente, acquisendo notorietà internazionale.

Nel 1922 inizia a scrivere per il Corriere della Sera, collaborazione che durerà fino alla morte, ma con una lunga interruzione dal ‘34 al ‘50, a seguito dell’appesantirsi del clima di censura sulla stampa durante il regime.

Per il Corriere scriverà quindi anche nei primi anni del lungo esilio “volontario” oltreoceano, cominciato nel 1931, quando Mussolini impone il giuramento di fedeltà al fascismo a tutti i docenti universitari. Borgese in quel momento si trovava negli USA, invitato come Visiting Professor alla University of California di Berkeley. Saputo dell’obbligo di giuramento, non tornerà in Italia, verrà considerato dimissionario, per non avere ripreso servizio, dall’Università di Milano, dove aveva subito più volte intimidazioni e minacce da parte di membri del Guf (Giovani universitari fascisti), e perderà anche il diritto alla pensione di anzianità (trattamento che nemmeno gli altri pochissimi docenti che si erano rifiutati di giurare dovettero subire).

Mussolini, a cui Borgese aveva direttamente comunicato, motivandola, la sua scelta di non giurare, in un appunto autografo del 1937 scriverà: “Gli si poteva perdonare il passato. Ma non l’oggi. Continua a essere un nemico” (Fernando Mezzetti, Borgese e il fascismo, Sellerio, Palermo 1978, pag. 42).

 

Giuseppe Antonio Borgese

 

Negli USA, oltre all’insegnamento (prima in California, poi nel Massachusetts e infine all’Università di Chicago), prosegue l’attività di scrittore e pubblica nel 1937 a New York, in lingua inglese, un’opera fondamentale: Golia. Marcia del fascismo. Si tratta di un saggio di ampio respiro, denso di pathos e di tensione morale che, dopo un’ampia panoramica della storia d’Italia a partire dall’età di Dante, esamina i motivi della nascita e dell’affermazione del fascismo, visto come una tirannide di impronta totalitaria che trova le sue radici nelle contraddizioni che hanno caratterizzato la storia d’Italia, contrassegnata da momenti di grandezza, come l’età umanistico-rinascimentale e il Risorgimento, ma anche da errori e debolezze secolari, come la mancanza di ideali comuni e l’incauta fede nel capo carismatico.

L’opera, definita da Sciascia “un libro di radicale importanza”, ebbe ampia risonanza negli USA e altrove e venne tradotta in più lingue.

Fra i suoi tanti lettori vi fu Elisabeth Mann, figlia di Thomas Mann, anch’essa esule negli USA con i genitori, che molti anni dopo scriverà: “Divorai il libro di Borgese da diciottenne e decisi che era un uomo di mio gusto.” Difatti i due, conosciutisi nella casa americana dei Mann, si sposeranno nel 1939 dopo il divorzio di Borgese dalla prima moglie Maria Freschi, e avranno due figlie. Elisabeth Mann, essendo molto più giovane di Borgese, vivrà dopo la morte del marito ancora per 50 anni e riceverà la cittadinanza onoraria di Polizzi nel  1999 durante una sua visita ufficiale, prima di morire nel 2002 per un malore presso St. Moritz, tra le montagne dell’Engadina tanto amate da Borgese.

Golia sarà pubblicato in Italia nel 1946, dopo la fine della guerra, mentre Borgese rientrerà nel 1948, e nel Settembre del 1949 risalirà sulla sua vecchia cattedra di Estetica all’Università di Milano, che aveva lasciato 18 anni prima per non sottostare alle minacce e alle imposizioni del regime.

Ma la sua seconda vita nell’Italia del dopoguerra sarà breve, perché morirà improvvisamente il 4 Dicembre del 1952 a Fiesole, presso Firenze, dove si era stabilito.

Dalla fine degli anni Trenta e fino alla morte, Borgese non aveva mai cessato di pensare e lavorare a un progetto di Costituzione mondiale, di impianto repubblicano e federativo, su cui fondare un nuovo ordine ordine mondiale finalizzato a una pacifica convivenza tra i popoli. Il progetto, ispirato al grande esempio kantiano di Per la pace perpetua (1795), ha indubbiamente una forte componente utopica, ma Borgese, che era tutt’altro che un sognatore solitario sganciato dal mondo, cooperò assiduamente con una cerchia di intellettuali di varia estrazione e promosse un Comitato per elaborare una Costituzione mondiale, con il sostegno dell’Università di Chicago dove insegnava. La stessa università che nel 1952, poco prima della morte, formalizzò presso il Comitato norvegese la proposta di insignire Borgese del premio Nobel per la pace.

Un’eredità rimossa

La fortuna (o sfortuna) di Borgese e delle sue opere dopo il rientro in Italia e la morte meriterebbe un discorso a parte, approfondito e complesso. È innegabile che nel dopoguerra lo scrittore, al netto di celebrazioni e commemorazioni di facciata, sia stato rapidamente accantonato.

Impressionante è in particolare il sostanziale ostracismo riservatogli dal mondo accademico, che finirà per relegare uno dei più grandi intellettuali del suo tempo nel limbo delle figure minori del primo Novecento.

Fra le pochissime eccezioni a questa cappa di silenzio caduta sul suo nome all’interno delle università vi sono quelle di Luigi Baldacci e di Salvatore Battaglia, autore del monumentale Grande Dizionario della Letteratura Italiana, che in Mitografia del personaggio (1968) scrive pagine importanti su Rubè e I vivi e i morti, nel tentativo di “riparare” a una “congiura del silenzio”.

Non è però un accademico, ma un grande scrittore, siciliano come Borgese, il principale artefice della sua rivalutazione in Italia. A partire dagli anni Sessanta, Leonardo Sciascia si impegna strenuamente in un’opera di recupero del valore della figura di Borgese, intellettuale impegnato e poliedrico in cui lo scrittore di Racalmuto probabilmente vede un riflesso di se stesso, tanto da inserirlo esplicitamente nella trama di uno dei suoi capolavori, A ciascuno il suo.

Infatti il protagonista del romanzo, il professor Laurana, secondo quanto dice il preside della sua scuola al commissario che indaga sulla sua scomparsa, “si è messo in testa che Borgese sia stato sottovalutato e che bisogna rendergli giustizia”.

Sciascia parla di una vero e proprio processo di rimozione culturale della figura e dell’opera di Borgese, rimozione realizzata paradossalmente più in Italia che all’estero, e cerca di trovarne le cause. Nella postfazione all’edizione francese di Golia (1986) scrive: “Oggettivamente, per chi sappia guardare con sereno giudizio lo svolgersi della cultura italiana, dai primi anni del secolo alla Seconda guerra mondiale, Borgese ne è uno dei più grandi protagonisti: come narratore, come critico, come esempio di vita […]. Eppure questo suo ruolo, questo grande significato della sua vita e della sua opera, questa sua dominante presenza in quasi mezzo secolo di vita italiana, la cultura italiana nel suo insieme, ancora oggi, non solo non riesce a ricordarlo, ma fa di tutto per rimuoverlo e cancellarlo quando sporadicamente qualcuno lo ricorda e propone.”

Quindi ricorda che Borgese fu avversato dall’antifascista Croce, dai crociani e dai fascisti prima di lasciare l’Italia (ma, curiosamente, non dal fascista Giovanni Gentile); e ancora dai crociani, con l’aggiunta dell’antifascismo comunista, al suo ritorno in patria.

Insomma Borgese si ritrovò marginalizzato soprattutto perché non apparteneva ad alcuna delle correnti dominanti della cultura e della politica italiane del dopoguerra; era, come l’aveva definito Renzo De Felice nel 1977, “un irregolare della cultura” che si muoveva, scrive ancora Sciascia, in “una terra quasi di nessuno”, espressione che dà il titolo a un recentissimo e molto dettagliato saggio di Nicolas Bonnet sui due scrittori siciliani.

Agli interventi di Sciascia fanno ovviamente riferimento anche gli importanti contributi critici di Ilaria de Seta, dell’Università di Leuven in Belgio, e di Massimo Onofri, che definisce la rimozione di Borgese “una delle vicende più amare della cultura del Novecento” (“Il caso Borgese”, 1996) ed è probabilmente lo studioso che, dall’interno dell’accademia, si è più adoperato per rendergli giustizia.

E giustizia, per quanto tardiva, si può dire che forse a Borgese sia stata finalmente resa, anche se soltanto nel secolo presente e negli ultimi anni soprattutto. Le sue opere, per decenni quasi tutte introvabili ad eccezione di Rubè, sono state via via ripubblicate, compresa la tanto attesa riedizione di Golia nel 2022 e, nel Novembre scorso, la raccolta in un unico volume di oltre mille pagine di tutti i principali testi narrativi dell’autore polizzano.

Entrambi i titoli sono usciti per i tipi di La Nave di Teseo, ma anche altri editori, come Navarra o Avagliano, per citarne solo qualcuno, hanno recentemente contribuito alla “rinascita” dello scrittore.

Ma è stata soprattutto la Fondazione G. A. Borgese, costituita a Polizzi nel 2002, a condurre un’intensa attività di valorizzazione dell’opera dell’illustre cittadino, promuovendo eventi, incontri, pubblicazioni di e su Borgese.

Di molte di queste ultime è autore o curatore il direttore della Fondazione Gandolfo Librizzi, da tempo assiduo studioso e conoscitore di Borgese e attuale primo cittadino di Polizzi. Sul sito web della Fondazione, facilmente accessibile a tutti, sono presenti un’ampia e dettagliata biografia, corredata di un altrettanto ricco repertorio iconografico, e diverse altre risorse: articoli, introduzioni ed estratti di opere, un documentario, gallerie fotografiche di eventi e di luoghi legati alla vita e alla memoria di Borgese.

 

Giuseppe Antonio Borgese

 

Borgese e la Sicilia

Lo scrittore siciliano, che è di indole e di fatto uno dei più cosmopoliti autori del Novecento, è rimasto sempre sentimentalmente legato alla sua terra, evocata e descritta, con note spesso poetiche e a volte di rimpianto, in molte opere, compresa Rubè, la più conosciuta.

Qui riportiamo solo due esempi, rimandando al sito della Fondazione i lettori che vogliano vederne altri:

“Io nacqui su una vetta di monte che s’affaccia da ogni lato a
guardare: la valle, altri monti, uno specchio di mare.
Esso è molto turchino e lontano. I fianchi dei monti si fanno
da parte, come cortinaggi pesanti, per lasciarlo vedere.
Quando arriva il tramonto una polvere d’oro sfavilla su tutte le cime. […]
D’estate, quand’io e mio fratello venivamo da Palermo in vacanza,
al passo di Forrione ci fermavamo a cavallo nel vento.
Di là ci appariva Polizzi, il nostro paese, al vertice di un’ascensione. […]
Le case, grigie e rosa, allineate su tutta la vetta del monte,
parevano un naviglio che stesse per salpare. La nostra era l’ultima;
aggrappata coi pilastri di pietra all’orlo del dirupo. […]
Le vigne della Scaletta, poco prima di giungere a casa, erano d’un
verde così scuro che dava bagliori d’indaco, come un pezzo di mare.
Cavalcavamo a fianco; mio fratello, un poco più piccolo di me,
aveva ancora riccioli biondi. Ora è sotterra.”

(Tempesta nel nulla, pp. 57-58)

“[…] Qualunque sia stata e sia per esser la mia lontananza,
per quanti anni io sia stato lontano da questa mia terra,
io sono e rimango profondamente siciliano. […]
Partendo per qualunque viaggio, per qualunque distanza,
allontanandomi con questa immagine, allontanandomi con la Trinacria negli occhi,
io posso dire: ho questa isola in cuore.”

(”Discorso sulla Sicilia (ai siciliani?)”, Catania [26 maggio 1931], in Una Sicilia senza aranci, a cura di I. Pupo, Avagliano 2005, pp. 103-104)

Eppure ci sembra che ancora qualcosa manchi, che non tutto torni, nell’innegabile processo di recupero e valorizzazione di Borgese nella cultura di oggi. E si tratta del fatto che proprio nella sua Sicilia, comprese le Madonie e con l’ovvia esclusione di Polizzi e dei dipartimenti universitari, il nome di Borgese continui a rimanere poco conosciuto.

Con la complicità delle scuole che ancora lo ignorano, dei libri di testo che generalmente lo menzionano solo come critico letterario o autore di un singolo romanzo, nonché dell’eterno provincialismo siciliano che fa fatica a frequentare lo scrittore più aperto verso l’Europa e il mondo che il nostro Novecento abbia avuto, l’anti- ideologico, l’anti-fatalista, il libertario, cosmopolita e idealista Borgese continua ad essere inattuale, in una fase storica segnata da particolarismi, contese e divisioni sempre più aspre.

Ma è proprio perché non ci piace questo presente, perché non vogliamo rassegnarci a questo stato di cose, che dobbiamo adoperarci il più possibile perché l’intellettuale più poliedrico, indipendente e impegnato che prima di Sciascia la nostra terra abbia messo al mondo possa, con le sue opere, riprendere veramente a vivere.

 

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